La Suprema Corte fa il punto sugli elementi differenziali e le rispettive caratteristiche
La Corte di Cassazione, sez II civile, con l’ordinanza n. 25864 del 23.09.2021, ha nuovamente posto l’attenzione su quelli che sono i punti focali per distinguere una veduta dalla luce.
L’intervento chiarificatore della Corte nasce al termine di una vicenda giudiziaria in cui parte attrice, proprietaria di un immobile, aveva agito nei confronti della proprietaria del fabbricato limitrofo perché durante alcuni lavori di ristrutturazione aveva modificato due luci e le aveva rese irregolari. Quindi chiedeva che parte convenuta fosse condannata a ripristinare lo stato quo ante, ovvero regolarizzasse le luci.
Si costituiva in giudizio la convenuta eccependo in via riconvenzionale l’intervenuta usucapione del diritto di servitù di veduta.
In primo grado il Tribunale rigettava sia la domanda di regolarizzazione delle luci in quanto qualificava le aperture come vedute e rigettava altresì la riconvenzionale della convenuta; in appello la sentenza veniva riformata posto che le aperture in questione venivano considerate luci e la parte interessata veniva condannata a dar luogo alla loro regolarizzazione.
Ebbene sul punto giunge l’intervento della Suprema Corte. Quest’ultima, proprio con la richiamata pronuncia, ha ribadito che le caratteristiche di una veduta sono l’inspectio ossia la possibilità di guardare il fondo del vicino attraverso il vano dell’apertura in questione e la prospectio ovvero la possibilità di affacciarsi e quindi sporgere il capo da tale vano non solo frontalmente ma anche in modo obliquo e laterale.
Tale definizione era stata da Essa già delineata in una pronuncia precedente – precisamente nella sentenza n. 23952 del 29.10.2020 – laddove aveva chiarito che:
“Affinchè sussista una veduta, secondo l’art. 900 c.c., è necessaria la coesistenza dei due requisiti dell’inspectio, cioè la possibilità di godere di una completa visuale frontale sul fondo del vicino e della prospectio ovvero la possibilità di affacciarsi e guardare il detto fondo anche lateralmente ed obliquamente. La contemporanea sussistenza dei suindicati requisiti, oltre ad essere l’elemento caratterizzante della veduta, si traduce sul piano pratico nella possibilità per una persona di media altezza, di avere una visuale agevole, cioè esercitabile in condizioni di sufficiente comodità e sicurezza e senza l’utilizzo di mezzi artificiali”.
In sostanza, secondo la Corte, punto focale della veduta è la possibilità di avere una visuale agevole, senza utilizzare mezzi artificiali, circostanza questa che si verifica quando sono presenti entrambi i suindicati richiamati requisiti (cfr. Cass. Civ. n. 346/2017).
Dunque la Suprema Corte, con la ricordata recente ordinanza, ha poi rimarcato – rifacendosi a quanto già sancito con la sentenza n. 3924 del 2016 – che:
“un’apertura munita di inferriata (nel caso in esame allocata a filo con il muro perimetrale dell’edificio) che impedisca l’esercizio di tale visione mobile e globale sul fondo alieno va qualificata luce”.
E’ quindi irrilevante se l’apertura in questione permette di guardare effettuando anche delle manovre poco agevoli. In tal caso il soggetto interessato può chiedere la regolarizzazione ma non la chiusura, rimedio esperibile per l’apertura illegittima della veduta. Infatti la distinzione tra i due tipi di aperture è ravvisabile anche nella diversità dei rimedi previsti dall’ordinamento a loro tutela.
La disposizione di cui all’art. 905 c.c. in materia di vedute mira a tutelare il proprietario dall’indiscrezione del vicino, impedendo a quest’ultimo di creare aperture a distanza inferiore di un metro e mezzo.
La normativa in tema di luci di cui all’art. 901 c.c. invece tende a regolare il diritto del proprietario di effettuare sul proprio fabbricato aperture verso il fondo del vicino allo scopo di attingere luce ed aria senza affacciarsi su quello, per questo sono previsti limiti di altezza e sicurezza come la collocazione di inferriate e grate fisse.